Presso la “Casina Pio IV”, in Vaticano, si è svolta nei giorni scorsi la III Conferenza Internazionale dell’IstitutoDignitatis Humanae, l’organizzazione fondata da Benjamin Harnwell nel 2008 come piattaforma di discussione e confronto per i laici cattolici con ruoli di responsabilità politica e sociale nell’Europa sempre più attraversata dal secolarismo radicale. Incentrata sul tema “Poverty and the common good: putting the ‘preferential option for the poor’ at the service of human dignity” (“Povertà e bene comune: porre ‘l’opzione preferenziale per i poveri’ a servizio della dignità umana”) la tre-giorni di quest’anno – introdotta dal Cardinale Raffaele Martino, presidente onorario dell’Istituto – ha visto la partecipazione di numerosi esponenti politici, studiosi e intellettuali che hanno affrontato il tema della povertà nel mondo contemporaneo da diversi punti di vista tenendo presente la convinzione fondamentale che l’Istituto porta avanti dalla sua fondazione, il fatto, cioè, che tutti gli uomini (come insegna il primo libro della Bibbia, la Genesi) sono creati a immagine e somiglianza di Dio e unicamente per questo sono quindi dotati di una dignità assoluta e inalienabile. Lo ha messo in evidenza in particolare Luca Volontè – più volte deputato in Parlamento, oggi direttore dell’Istituto e presidente della fondazione Novae Terrae – che ha offerto un’analisi delle conseguenze economiche derivanti dall’applicazione dell’antropologia cristiana nella società contemporanea. Considerata attentamente, quella che i teologi definiscono come la dottrina dell’imago Dei in effetti non serve soltanto a giustificare la visione etica della vita cristiana in quanto tale ma si rivela feconda anche di importanti conseguenze sul piano economico e sociale. Se lo Stato può riconoscere – o meno – a livello positivo i nostri diritti fondamentali, in realtà la storia dimostra che la dignità umana viene fondata solo dal riferimento trascendente a Dio che diventa così in ultima analisi il garante ultimo del complesso della salute civica di una società. Oggi invece abbiamo perso di vista tanto il riferimento a Dio quanto le radici cristiane dell’Occidente ma così diventa impossibile – ad esempio – giustificare la nostra stima manifesta per il valore intrinseco della persona e per quello della libertà. Pensiamo che sia normale nascere liberi e vedersi riconosciuta in pubblico la propria libertà, ma non è così: lo è da noi perchè viviamo ancora – nonostante tutto – delle convinzioni cristiane sulla libertà e la responsabilità personale dell’agire umano ma se facessimo un giro in Estremo Oriente o in alcune aree dell’Africa scopriremmo realtà sociali molto diverse, tanto diverse che a volte la parola ‘libertà’ non esiste nemmeno nel vocabolario di quelle lingue. Non esistendo infatti il singolo individuo come realtà unica e particolare, non esiste nemmeno la sua libertà di affermarsi, evidentemente. D’altronde, come hanno messo in luce alcuni studi recenti insospettabili di partigianeria, se l’Europa ha raggiunto un grado così avanzato di sviluppo e civiltà tecnologica la chiave è da ricercarsi anche e soprattutto nelle pagine della sua storia culturale continentale in cui le scuole (promosse in primis dagli ordini religiosi) e le università (fondate ancora dalla Chiesa) hanno svolto un ruolo di elevazione morale, materiale e spirituale di prim’ordine.
A seguire è intervenuto l’onorevole Vittorio Prodi – europarlamentare uscente dopo due legislature a Strasburgo – che ha riflettuto invece su due punti-cardine della Dottrina sociale della Chiesa strategici, a suo avviso, per uscire dalla crisi che a partire dal 2008 ha messo in ginocchio le nostre economie, ovvero la persona e il bene comune. Si tratta infatti di due indicatori che, come insegna la Chiesa, oltre a dare un’indicazione di riferimento culturale generale per i modelli di sviluppo suggeriscono anche che la stessa categoria di sviluppo non può limitarsi alla lettura del PIL annuo dei singoli Stati, e nemmeno ovviamente a una logica puramente consumistica, ma va ben oltre i numeri della produzione indistriale e dei consumi-medi per ricomprendere anche i beni relazionali e morali, non facilmente quantificabili a occhio nudo e anzi a volte semplicemente ignorati dagli studi di settore che vanno per la maggiore. Tuttavia, così Prodi, se si vuole ritornare ad incidere come cristiani con qualche pretesa di orientamento sull’opinione pubblica occorre che la riflessione torni coraggiosamente su quegli elementi che caratterizzano la visione tipicamente cristiana della società rispetto alle ideologie politiche del momento storico e la rendono ‘buona’, ‘auspicabile’ e dunque certamente ‘vivibile’ per tutti.
A questa impostazione, ma da altra prospettiva, si è ricollegato anche l’intervento del professor Olinga Ta’eed – docente di economia aziendale presso l’università inglese di Northampton, nonché direttore del Centre for Citizenship, Enterprise & Governance – che ha illustrato, facendo riferimento alla sua pluridecennale esperienza professionale, il legame che sussiste (ancorchè oscurato talora su alcuni mass-media) tra le potenzialità generative dell’economia libera e la riduzione del tasso di povertà misurato. L’ultimo aggettivo qui non è casuale perchè Ta’eed, tra l’altro, è proprio l’inventore del cosiddetto ‘Rapporto di Utili Sociali’ (S/E, Social Earnings Ratio, in inglese), uno strumento innovativo che dal 2011 permette alle imprese di misurare aritmeticamente in tempo reale l’impatto sociale delle loro azioni operando una comparazione significativa tra privato, pubblico e terzo settore. In questo contesto, Ta’eed si è detto peraltro convinto che un ruolo strategico sia comunque svolto dalla qualità legislativa dello Stato di diritto in cui si lavora (non sempre avere tante leggi è garanzia di essere ‘garantiti’, per usare un gioco di parole efficace, ma senza Stato di diritto non c’è nemmeno mercato in senso letterale) e dalla trasparenza dei processi tanto di libera concorrenza quanto dei contratti di appalti pubblici o delle procedure di e-procurement. In ogni caso, dalla crisi se ne uscirà tanto prima quanto più si sarà compreso che il bene dei singoli non può mai essere svincolato da quello collettivo della società in cui si opera concretamente.
Flaminia Giovanelli, Sottosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, si è invece soffermata in modo articolato sul rapporto tra la Chiesa e l’opzione preferenziale per i poveri a partire dal Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima di quest’anno e dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Parlando dei più sfortunati, Giovanelli si è soffermata sullo scandalo odierno che vede come vittime anzitutto i bambini poveri: sia ‘poveri’ nel senso che vengono uccisi prima di nascere (ricordando, con la Beata Madre Teresa, che quelli nel grembo materno sono ‘i più poveri tra i poveri’ perché non hanno voce) sia poveri nel senso che una volta venuti al mondo, in molte aree del pianeta, sono purtroppo i più colpiti dalla fame e dalle malattie (si pensi all’Africa centrale o al Sudamerica). Il Sottosegretario ha quindi spiegato che strettamente legate al dramma della povertà sono anche le minacce più serie alla pace e alla sicurezza: laddove manca il necessario per vivere si creano infatti quasi ‘naturalmente’ le condizioni sociali perchè la situazione esploda senza ritorno e, d’altronde, gli stessi Pontefici in passato hanno ribadito che il primo sinonimo della pace è proprio lo sviluppo integrale e quindi la diffusione (almeno) tendenzialmente generalizzata del benessere, materiale e non. Accanto alla miseria materiale vi sono infatti anche altri tipi di miserie non meno importanti, la miseria morale, quella spirituale e quella culturale. La prima rende schiavi del vizio e del peccato (che porta alla morte dell’anima), la seconda ci convince che possiamo fare a meno di Dio e possiamo vivere tranquillamente senza il suo amore (ed è forse la più diffusa oggi in Occidente), la terza infine è quella collegata all’ignoranza e a volte persino all’analfabetismo che di fatto rende impossibile uscire dalla condizione di subalternità in cui si vive. Come si vede, insomma, il tema è quantomai complesso, soprattutto per chi si propone di portare le ragioni della Dottrina sociale della Chiesa in pubblico, e rifugge decisamente da facili schematismi a tavolino o da slogan preconfezionati. Concludendo, Giovanelli ha suggerito che una possibile proposta di soluzione sarebbe proprio quella di considerarci tutti membri attivi, e propositivi, di un’unica famiglia umana (unita dallo stesso destino) e quindi partecipi allo stesso modo del comune progetto divino, che leghi finalmente insieme i princìpi di fraternità e responsabilità.
Il giorno seguente è stata la volta di Monsignor Marcelo Sànchez-Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che affrontando il tema delle conseguenze della ‘cultura dello scarto’ dominante (Papa Francesco) si è soffermato in particolare sul traffico degli esseri umani (un “crimine contro l’umanità”) come ultima forma di schiavitù della società contemporanea. Ancora oggi infatti più di 30 milioni di persone in tutto il mondo sono soggette a qualche forma di schiavitù (lavoro forzato o prostituzione che sia) e addirittura 1/5 di queste sono bambini o comunque minorenni: una cifra obiettivamente spaventosa per una civiltà che a parole dichiara di fondarsi sui diritti umani. Per Sorondo é quindi necessario intervenire sia a monte (impedendo che si formino le condizioni sociali su cui lucrano i moderni mercanti di schiavi), sia a valle (aggravando le sanzioni previste negli ordinamenti penali degli Stati e aumentando la punibilità dei reati di complicità e favoreggiamento). Nell’occasione il presule argentino ha reso noti gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) secondo cui computando i guadagni della criminalità organizzata (centinaia di milioni di euro l’anno) l’80% circa proviene dai traffici della prostituzione, una piaga che sta crescendo esponenzialmente con la globalizzazione e su cui vista l’emergenza la Santa Sede auspica una maggiore cooperazione a livello di prevenzione e difesa su scala internazionale, sia tra i singoli Stati che tra le organizzazioni sovranazionali, prima fra tutte l’ONU.
Gli ultimi due interventi, infine, sono stati quello del Segretario della Pontificia Accademia dell’America Latina, Guzmàn Carriquiry, che ha pure approfondito la questione della tratta toccando aspetti inediti (i bambini usati come corrieri della droga, ad esempio, e persino come bambini-soldato nelle tante guerre civili oggi dimenticate), e padre Marcel Guarnizo del Congresso Mondiale delle Famiglie che è tornato alle radici teoretiche della crisi in corso mettendo brillantemente in discussione i fondamenti filosofici della postmodernità (la negazione del senso dell’agire umano – o l’eclissi dei fini, come dice qualcun altro – e la morte della metafisica) che hanno ridotto la persona a un oggetto, un ‘processo di cosificazione’ portato avanti dai principali esponenti del cd. ‘pensiero debole’ da decenni a questa parte ed oggi giunto – con ogni evidenza – ad esiti devastanti. Già Giovanni Paolo II, non a caso, ricordava che il primo errore dei regimi totalitari era di natura antropologica e consisteva nel fatto che erano dei regimi ‘bugiardi’, cioé regimi che negavano la natura stessa dell’uomo come voluto e creato da Dio. Oggi,mutatis mutandis, cadute le ideologie e terminato il ‘secolo breve’, la situazione non è molto cambiata se la mentalità corrente giudica ancora la prassi più importante dello spirito e non riesce a comprendere che il primo capitale a disposizione sulla pubblica piazza è quello umano, di cui siamo debitori in ultima analisi sempre alla famiglia. Senza famiglia non c’è persona (nel senso più ampio e più completo) e senza persona, semplicemente, non c’è civiltà. Serve altro per dimostrare che la Dottrina sociale è quanto di più concreto possa esistere?